L. ha gli occhi di sempre (da strega, da gatto). Il suo eterno caschetto è argentato.
Ci vediamo circa una volta all’anno, e ogni volta indossa qualcosa di rosso che le illumina il viso.

Lega la bici con due bloster ed entriamo in questo bar sul naviglio.
Diresti che di pomeriggio sia tutto tranquillo in questa zona, e invece proprio fuori stanno facendo dei lavori, ogni tanto si crea anche un piccolo ingorgo e comunque qualcuno suona, i fumi delle auto entrano nel locale, nel cappuccino, nei nostri nasi.
-perchè non fai un figlio?
-ma ci mancherebbe altro.
-perchè non..
-perchè non lo fai tu scusa?
-...
Ci ha pensato eccome. Però mi spiega:
-io ho, tipo, un buco da riempire è vero. Ma non sono una di quelli che si riempiono i buchi facendo figli. Ho tante cose da fare, devo pensare a realizzarle, avere un titolo di studio ad esempio. Ecco, quello sarà il mio modo di riempire il mio buco. Poi vedremo.

Me ne sto lì senza dire niente, perchè è così anche per me.
Come sempre del resto. Quando ero piccola sapeva dire cose che erano vere anche per me, solo che me ne rendevo conto solo quando lo diceva lei. È come quando leggi un bel libro e capisci che ti sta parlando di te, e pensi: è vero, cavolo. Allora non sono solo io a sentire questo..
Mi sento vecchia: come sempre, tiro fuori la storia delle rughe. Lei è più grande ed è radiosa, parla della vita come di un romanzo appassionante. Come ha sempre fatto.
Mi ha portato il libro di Rushdie e il documento della trattativa della sua azienda per il rinnovo dell’integrativo; lo leggiamo punto per punto e ci incavoliamo insieme.

I discorsi si accavallano, le idee volano.
Il tempo non si è fermato. Sono passati dieci anni e sono passati rulli compressori sulle nostre belle testoline. Ma siamo qui.
-scrivi?
-sì. F. un giorno mi ha detto, se smetti ora non riuscirai mai più a riprendere. Allora ho continuato a scrivere (il blog, penso fra me).
-e le poesie?
-no, le poesie no. – non ci avevo più pensato. Le poesie. – credo di averle perse per sempre.
-io credo di no.