dopo aver tanto penato su "orlando" di Virginia Woolf (credo di averci messo giusto quei due o tre secoli a finirlo, e il protagonista ha fatto in tempo a cambiare sesso altre sei volte), mi sono rifugiata in un autore che - è ufficiale - mi piace.
Frank McCourt.
sì lo so, lo avete già letto tutti quando anni fa ci fu il boom di "le ceneri di angela". Ecco, beh a quei tempi mi stavo dedicando sicuramente a qualche caso letterario di dieci anni prima.. comunque ora sto leggendo "che paese l'america", (in un'ottima traduzione, titolo a parte).
definizione di bel libro: non c'entra niente con la mia vita, eppure mi parla di me. ma come fa?
(segue attacco di invidia, nda)
e in più, il caro signor McCourt ha pensato bene di darmi la stoccata finale:
"Perchè non posso accontentarmi di un posto in fabbrica, turno dalle otto alle cinque, un'ora di pausa per il pranzo, due settimane di ferie all'anno? (...). Non dovrei preoccuparmi di professori che una settimana mi canzonano e quella dopo mi lodano. Non dovrei preoccuparmi di tesine, di tomi grossi così da studiare e di esami. Sarei libero.
Ma se a Detroit prendessi la metropolitana o l'autobus potrebbe capitarmi di incontrare degli studenti con i libri e allora mi direi che fesso sono stato a lasciare la New York University per andare a guadagnarmi il pane in catena di montaggio. Senza una laurea, lo so, non sarei mai col cuore in pace e seguiterei a chiedermi chissà che cosa ho perso."
Voilà. la storia della mia vita in sei righe.
20.4.04
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