28.3.08

il signor ginsberg è desiderato in reception
pausa pranzo. qui si prende la macchina anche per uscire a mangiare un'ora: fuori dall'ufficio c'è solo una lunga strada a quattro corsie per senso di marcia, costellata di insegne sberluccicanti e nomi importanti.
andiamo perciò in auto a mangiare in un grande self-service a 300m di distanza. tutto è sempre molto grande: come le strade e le auto, anche il cibo, gli hamburgeroni e i bicchieri per le bibite.
mentre studio l'elenco infinito di cibarie, si avvicina una collega. non ci conosciamo molto bene: del resto sono qui da due giorni. lei ha un nome molto esotico, origini iraniane miste a quell'aria da fricchettona di frisco.
mi guarda fissa, mentre ancora sto esaminando il tabellone delle carni alla griglia, frastornata da nomi, profumi e opulenza.
come prima cosa mi dice:
- perchè non prendi solo un'insalata?
e già capisco che ha capito. poi senza pensare, aggiunge:
- sei già stata a berkeley?
a questo punto la guardo attonita.
- è lì che dovresti andare tu, se vieni da queste parti. ma lo sai.
mi sento come in quei sogni in cui ti rendi conto di camminare per strada nuda.
- vacci, prima di ripartire. forse non te ne vorrai più andare dalla california.

ripeto, il signor ginsberg è gentilmente pregato di recarsi in reception.
nei corridoi disseminati di bagel e frutta fresca, in cui qualcuno gira a piedi nudi, qualcuno in monopattino, si trova anche un baracchino di st.ar.bu.cks.
la ragazza (nera) con la visiera e il grembiule sta in piedi tutto il giorno in questo corridoio della niu economi, elargendo gratuitamente caramel macchiato a chiunque ne chieda.
cioè io, circa tre volte al giorno.
però il mitin è già iniziato.

corro con il mio bicchierone, entro, la tizia sta già parlando davanti alla lavagna, corro al mio posto, inciampo, rovescio la mia bevanda appiccicosa sul tavolo, sui quaderni, sulla poltroncina gialla. ops.
il francese sembra essere l'unico testimone. mi passa dei tovaglioli. tampono il caffè che ora cola, drip drip, giù sulla moquette.
poi la tizia si ferma a guardarmi.
ovviamente tutti si voltano nella direzione del suo sguardo e mi vedono tamponare, chinata a terra.
la tizia è enorme, è proprio la classica americana obesa dei film, bruttina, scura, con delle catenazze d'oro.
sorride e dice:
- you're italian, right..?
ehm sì, rispondo. e intanto tampono. e lei, alzando un po' il mento:
- me too.
segue silenzio.
tutti ci guardano.
oh cazzarola, riecco il momento dell'orgoglio italoamericano.
rispondo diplomaticamente con un "ah!" e un sorriso educato, mentre ancora tampono.
mi guarda. adesso mi chiederà se ho il frigorifero? la prima domanda di solito è un sorpreso "ma dove hai imparato l'inglese?", a significare "ma ora avete le scuole?".
qualsiasi cosa si aspetti da me, è chiaro che non la sto facendo.
solo allora sembra capire:
- did you spill your coffee?
e tutti ridono.
ah, les italiens.

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